Sunday 4 August 2013

Notturni Londinesi - La Colpa



Quattordici anni, dice Christine volgendosi verso, sua madre Annie, già quattordici anni.
Hai  ragione... quando  aspettavi  Kate,   le  tue  paure.
Continuavi a domandarti,  ma sono in grado di avere un bambino? è normale, ti sentivi ancora una ragazza e non una donna che in pochi anni avrebbe partorito due figlie. Ora hai tutte le ragioni per essere felice, le ragazze crescono bene, e per la sua età Kate la puoi già considerare una persona  adulta...una  gran  bella  ragazza,  intelligente, matura.
Ti supplico nonna, non parlare così, mi metti in imbarazzo.
Oh, dico solo la verità.
Ancora quattro anni, riprende Fiona, quattro anni ancora e sarò grande come te.
Non avere troppa fretta di diventare grande. Guardami, ho ormai sessantasei anni, e non riesco a capacitarmene. Dirò una banalità, ma il tempo mi è fuggito via. Pensa che sono sette anni che è scomparso il nonno; sì, sono una vecchia che non vuole accettare la realtà di essere vecchia, è questo il guaio.
Andiamo, mamma, lasciamo perdere le malinconie. Questa è una festa e dobbiamo solo essere allegri.
Certo, è sacrosanto, sono solo una brontolona guastafeste, dovevate lasciarmi a casa!
Tutti sorridono, e la cena prosegue fra battute e  risate.
Eppure,  vi  sono attimi  in cui  Kate appare pensierosa, distratta.
Mamma quando arriva papà? chiede Fiona.
Edmund ha promesso di arrivare in tempo per la torta e di solito mantiene sempre le promesse. Lo sappiamo tutti quanto lo assorba il suo lavoro; anzi, possiamo dire il nostro lavoro. Ciò che fa, lo fa per tutti noi, non è vero?
Tutti  annuiscono,  meno  Kate,  che  pare  proprio  essere altrove. Christine se ne accorge. Tutto bene  Kate?
Sì... sì. tutto bene.
Kate  cerca  di   mostrarsi   tranquilla,   ma  Christine impensierita le fa una  domanda per cercare di comprendere qualcosa.
A   proposito Kate,  mi avevi  detto che avresti portato Juliet per la tua festa.
Beh... oggi Juliet non stava bene, aveva la febbre, un po' di influenza forse, e così non è potuta venire.
Kate ha raccontato una bugia, Christine è sicura di non sbagliarsi; e con tutta l'astuzia possibile la tiene sotto controllo. In Kate c'è qualcosa che non va, è tutto così evidente. Forse si tratta di un bisticcio con qualche amica, probabilmente proprio con Juliet, o chissà, un brutto voto preso  a  scuola  che  non  ha  trovato  il  coraggio  di confessarle. E' strano, pensa Christine, di solito Kate non mi nasconde nulla, fa parte del suo carattere; è una ragazza aperta. E ritornando con la memoria alle feste di compleanno degli anni scorsi,  Christine realizza di avere di fronte a sé una figlia assai diversa (Christine mentre continua a cercare di  interpretare il turbamento di Kate ordina la tavola  per  far  posto all'arrosto;  si  muove  leggera e sorridente).  Sa bene che all'età di  Kate si cresce in fretta, ma è nei suoi occhi che legge come un senso di smarrimento. Che ci sia di mezzo l'amore? qualche cotta? quelle non si raccontano; sì, pensa, mi sto preoccupando per nulla.
I suoi pensieri su Kate sono interrotti dalla voce di Annie, che dalla cucina  invoca  aiuto  per  tagliare  l'arrosto. Christine si alza da tavola e nello stesso istante si sente aprire la porta d'entrata. Edmund ha mantenuto la promessa, anzi  ha  fatto di  più,  è arrivato  in tempo anche per l'arrosto. Tutti gli vanno incontro per baciarlo.
Sei stato favoloso ad arrivare in tempo per festeggiarmi, ci tenevo tanto sai?
Non  avrei  mai  potuto mancare al  compleanno della mia splendida Kate.
L'arrosto viene divorato in pochi minuti, seguito da un coro di complimenti indirizzati a   Christine, che soddisfatta riprende, gentili signori e signore non è finita qui! il bello  arriva  adesso con  la  torta di  Kate,  e  le  sue quattordici bellissime candeline.
Annie finisce di togliere i piatti dell'arrosto, e Christine è già di ritorno dalla cucina con la torta. Edmund abbassa le luci, e Kate in un unico soffio spegne le candeline  tra applausi, auguri e baci; poi le vengono consegnati i regali che apre tra mille esclamazioni.
Finita la torta e visti i regali, ognuno si alza o per andare nel bagno o per sedersi sul divano. Solo Kate rimane a tavola, assorta ancora una volta nei suoi pensieri. In questo momento non è più lei il polo d'interesse della serata, ma la televisione accesa da Fiona per seguire un gioco a quiz;  un gioco che coinvolge tutti quanti per cercare di indovinare le risposte.
Ma Kate è sempre più distante. Senza parlare, si alza da tavola, si muove per la casa, ritorna a sedersi.
Stanca, anche perché ha lavorato molto in cucina per aiutare Christine, Annie chiede ad Edmund di accompagnarla a casa; vive sola ed è venuta in taxi.
Indossando la giacca Edmund tiene gli occhi fissi sulla televisione. Annie è pronta per uscire.
Allora, mia cara, magnifica Kate ti faccio ancora tanti e tanti  auguri,  e mi  raccomando vieni  a  trovare  la  tua decrepita nonna qualche volta; eh sì, è proprio vero, è da un po' di tempo che non ti vedo.
Grazie per gli auguri...e... tornerò presto a trovarti...
Kate   ha appena trovato la forza di dire queste poche parole. Annie rimane perplessa,  ma non ha il  tempo di riflettere  perché  distratta  da  Fiona  e  Christine  che l'abbracciano per salutarla.
Uscendo Edmund dice a Fiona che è ora di  spegnere  la televisione e di andare a dormire. Lei non si muove dal divano.
Edmund ed Annie se ne sono andati, e la casa ritorna alla normale oziosità di tutti i giorni; la televisione accesa, il  rumore della lavastoviglie,  la madre indaffarata nei lavori domestici,  le ragazze che passano da una stanza all'altra.
Kate entra in cucina e si trova accanto sua madre.
Va tutto bene amore?
Sì...tutto bene...
Durante questa serata di festa, la tua festa, non mi sei sembrata serena come in passato. Ci sono stati momenti in cui mi sei parsa inquieta. E' una mia sensazione sbagliata?
oppure...
... va meglio.
Cosa significa, va meglio.
Niente, ho detto che va meglio.
Spiegati. Se hai qualcosa che ti fa star male, forse e' meglio che metti al corrente anche me, lo sai bene, faro' di tutto per...
Christine ormai parla da sola. Kate e' scappata in camera sua  sbattendo la porta.
Disorientata,  confusa,  Christine appoggia sul tavolo di cucina un vassoio che tiene fra le mani,  e con una sensazione  di paura che le fa tremare le gambe va verso la stanza di Kate.
Indugia qualche secondo prima di aprire la porta.
Nella penombra della stanza, intravede la figlia coricata bocconi  sul  letto  che  piange  sommessamente.  A  brevi intervalli  il  pianto è  interrotto da singhiozzi,  tanto intensi da bloccarle quasi il respiro.
Christine non riesce a dire nulla. Si siede accanto a Kate cercando di  abbracciarla;  e  lei  si  abbandona  al  suo abbraccio liberando un pianto disperato, che nonostante il volume alto della televisione, arriva anche a Fiona, che si precipita davanti alla camera della sorella.
Con un gesto nervoso della mano Christine le fa. cenno di andarsene. Senza capire e con una leggera alzata di spalle Fiona ritorna in salotto.
Accarezzando dolcemente Kate, Christine si pone una, cento domande. Si ingannava nel1'immaginare una cosa da nulla. Non ha mai visto Kate disperarsi in questo modo. Ci deve essere qualcosa di grave.
E con un'angoscia che le mozza il fiato prende l'iniziativa chiedendo a Kate  la verità.
Asciugandosi le lacrime, senza un parola Kate si stacca dalla madre con gesti meccanici, lenti, e dopo aver chiuso la porta, muovendosi nervosamente nel piccolo spazio della stanza, con un tono di voce affannoso comincia a parlare. Non è vero quanto ti ho detto riguardo a Juliet; non è per l'influenza che non era con noi questa sera, sono stata io a non volerla, e d'ora in poi non la vorrò più vedere. Tutto è accaduto quando lei mi ha accompagnata in una delle mie visite alla nonna Annie. Da un po' di tempo ad una delle finestre del palazzo vedevo sempre una ragazza. Era sempre là, allo stesso posto; sia quando salivo sia quando me ne andavo. Ogni volta la guardavo, ma non mi ero mai chiesta cosa potesse fare sempre in casa, appiccicata ad una finestra, una ragazza pressappoco della mia età. Nell'uscire dal palazzo, anche quel giorno ho visto quella ragazza sconosciuta dietro alla finestra, e senza pensarci ne ho parlato con Juliet; ma ne ho parlato ridendo, capisci, come per dire, quella stupida non ha altro di meglio da fare che starsene tutto il giorno chiusa in casa a guardar fuori. Dal cortile Juliet ha immediatamente iniziato a prendersi gioco di lei, a farle delle boccacce, a dirle, che stai a fare in casa? guardi il soffitto? vieni giù sciocca! svegliati!; coinvolta e trascinata dalla sua stupidità, mi sono messa a ridere anch'io; a ridere sfacciatamente verso di lei che d'un tratto è scomparsa, mentre Juliet continuava a canzonarla. Di colpo, non so come spiegarti, ho avvertito che stavo facendo una cosa orribile. Allora ho preso per un braccio Juliet urlandole di smetterla, ma niente da fare, lei continuava a ridere, dicendo che non c'era motivo di smetterla. Poi finalmente mi ha ascoltato e siamo venute via. Tornata là due giorni dopo, e non vedendo più quella ragazza dietro alla finestra, sono salita in fretta dalla nonna per avere notizie, per sapere il suo nome. La nonna mi ha detto che quella ragazza di nome Doris, era ammalata gravemente, e al momento vi erano assai poche possibilità che potesse guarire. Era molto debole sia per le malattia, sia per le medicine molto forti con le quali doveva curarsi. Per questi motivi stava sempre in casa.
Mi  sono controllata e  senza dirle  nulla di  quanto era accaduto con Juliet,  le ho chiesto se potevo andare da Doris.  Anche  solo per  pochi  minuti.  Dovevo conoscerla, dovevo chiederle scusa per quella bravata dal cortile.
La nonna dicendomi che avrebbe provato a sentire, mi ha poi chiesto, perché ti interessi tanto a Doris?
Ora che conosco la sua storia, ho pensato che forse una visita le può far bene, la può aiutare.
Sono molto orgogliosa di avere una nipote come te. E' molto bello quello che vuoi fare... strano però, è da diverso tempo che se ne sta dietro alla finestra, non l'avevi mai vista prima?
Non so, può darsi, non ci ho mai fatto caso. Sai,  vengo e me ne vado sempre così di fretta.
Certo... fra l'altro nemmeno io te ne ho mai parlato, o meglio l'ho sempre evitato. E' una cosa così penosa.
Ma sei veramente sicura di volerle parlare? sappi che vedrai una ragazza ammalata, ti rattristerai.
Non ho paura di nulla, desidero stare un po' con lei.
Come vuoi, vieni domani. Questa sera chiederò a sua madre se potrai incontrarla.
Il giorno seguente, la nonna, frastornata, mi ha detto che Doris era stata portata d'urgenza in ospedale. Ma questo accade spesso, aveva aggiunto, lasciandomi ad intendere che avrebbe potuto tornare a casa presto.
Per un paio di settimane ho continuato a chiamare per avere notizie, finché un giorno la nonna mi ha detto che Doris era morta. Da quella sera sono caduta in uno sconforto che non mi lascia vivere. Penso sempre a lei; penso che Doris sia peggiorata in conseguenza della mia crudele bravata con Juliet. E' una colpa che mi sento addosso. E inoltre, penso a quanto sono stata falsa con la nonna, con lei che mi ha creduto una ragazza sensibile, lo non  sapevo che quella ragazza era ammalata, non sapevo niente di lei; non sapevo perché mi era indifferente. Avevo avuto diverse occasioni per chiedere qualcosa su di lei, ma non me ne importava nulla. Io dovevo pensare alla mia vita, alle mie amiche e a tante altre sciocchezze. Doris andava bene soltanto per divertire due stupide ignoranti come me e Juliet. No, non riesco a darmi pace per quanto é successo. Ho sempre nella memoria i suoi occhi che mi guardano da quella finestra. Ho mentito dicendo alla nonna che tornerò a trovarla. In quella casa non metterò più piede, mai più...
Un forte singhiozzo tronca le ultime parole di Kate che cade in un nuovo pianto disperato.
Christine è muta, sbigottita. La storia di Kate,   la nuova crisi di pianto le hanno paralizzato il cervello e il corpo.
Vorrebbe dirle di non angosciarsi fino a quel punto, che lei non può essere responsabile della morte di quella ragazza. Doris era molto ammalata e  non si poteva fare nulla per salvarla.  Rimuginando su quella bravata si  sta soltanto accusando di una colpa che non ha. E' invece la morte ad averla  atterrita. Kate non arriva a capire, ad accettare, che anche una ragazza della sua età possa morire. E' tutto quello il problema. Per Kate, per le sue amiche, la morte è altrove; qualcosa di sconosciuto; qualcosa che appartiene ad altri, una realtà distante e oscura.
Ma le parole non escono, e con un gesto delicato riesce soltanto ad accarezzare i capelli di Kate, che sfiancata dal dolore, si addormenta.
Christine la osserva con dolcezza, e senza fare il minimo rumore si avvicina alla finestra. Guarda fuori, la strada deserta, la luce dei lampioni, le auto posteggiate.
Nella notte,  tutto le appare inoffensivo;  un mondo che dorme,  assopito  come  sua  figlia;  un  mondo  che  vive costantemente in bilico tra fervore e quiete, tra vita e morte.
Anche lei come Kate, non accetta la morte, ne ha il terrore; ne ha il terrore perché oltre la vita immagina solo il buio, il silenzio.
Da bambina in seguito a una brutta caduta in bicicletta, era rimasta  svenuta  per  diversi  minuti.  Appena  ripresa conoscenza, era però riuscita a ricordare gli attimi poco prima della caduta; un pomeriggio pieno di sole e di luce, altri bambini che giocavano con lei; poi  lo schianto in terra e immediatamente il buio, la notte in pieno giorno, il nulla.
Si accorge che sta piangendo, e intanto, dai piccoli rumori che le giungono dalla stanza accanto, capisce che Fiona sta andando a dormire; nello stesso istante in cui arriva Edmund; nell'entrata suoni metallici di chiavi, passi pesanti di un uomo, la porta che viene aperta e chiusa in fretta.
Con gesti rapidi e nervosi Christine si asciuga le lacrime e si ravvia i capelli, cercando di darsi un tono rilassato; un aspetto normale e tranquillo.
No, non racconterà a nessuno la storia di Doris. E nonostante la sua sensibilità, con il tempo anche Kate riuscirà ad abituarsi a convivere con cattivi ricordi. E a passi leggeri, disinvolta e sorridente, esce dalla camera della figlia e  va incontro al marito.

Copyright © G. Magnani

Thursday 1 August 2013

Notturni Londinesi - Il Desiderio


Nicolette non si vedeva quasi mai, tipi nome lei studiano e vivono a Londra, in grandi metropoli; se ne vanno presto dalla nostra piccola e stupida città di provincia, e ci tornano soltanto per periodi brevi, per Natale o d'estate.
Nelle piccola e stupide città di provincia rimangono i più grandi della famiglia, i più scaltri, quelli che si dedicano agli affari dell'azienda o delle aziende, continuando a fare quattrini, a mietere e curare interessi e conoscenze, mentre governanti e servitori tengono a puntino ville e proprietà.
Con l'infinità di pretendenti che da sempre le giravano attorno, a quell'idiota di Pierre non ho pensato proprio; però avrei dovuto pensare alla sua famiglia e ai suoi soldi.
Poco c'entra se lui é un idiota, anzi, probabilmente é una caratteristica indispensabile, e pensare che sono stato io a mettergli in testa Nicolette.
Tutto è scattato da un sogno; un sogno splendido che come un delirante volevo diventasse realtà.
Da troppo tempo desideravo una come Nicolette; una come lei significa bellezza, denaro, enormi opportunità per il futuro.
Nicolette mi conosce, mi ha visto con gli altri, sa che esisto, eppure mi ha sempre ignorato; certo, lei abitualmente frequenta amici importanti, inglesi, americani; gente carica di soldi con case al mare e in montagna.
lo non ho nulla di tutto questo e lei ha sempre saputo che nella compagnia di ragazzi di cui facevo parte ero l'unico ad essere povero; forse non proprio povero, povero. Voglio dire che sino ad un certo punto il divario tra me e gli altri non era ancora diventato così grande. Eravamo ragazzi, avevamo la motocicletta, e fino a quel punto mio padre é stato in grado di aiutarmi. Ma crescendo abbiamo preso 1a patente per l'auto, e mio padre con a carico il sottoscritto, mia sorella più piccola e mia madre, non avrebbe nemmeno potuto pensarci ad una vettura di lusso come hanno i miei amici.
E l'auto è solo uno dei tanti problemi. Ci sono i vestiti e così altre, tante, troppe cose; differenze che giorno per giorno mi hanno tagliato fuori.

Per questi motivi negli ultimi tempi sono andato sempre con meno entusiasmo ai nostri soliti incontri. i miei amici arrivavano con macchine fuoriserie, io con la vecchia automobile di mio padre. E alcuni ne approfittavano pure per prendermi in giro.
Ed è inutile che mi faccia illusioni, qualsiasi lavoro farò, non riuscirò mai ad avere le possibilità di Pierre, Jean e gli altri. Meglio quindi metterci una pietra sopra e cercare di riuscire a vivere diversamente.
Per prima cosa devo trovarmi amici nuovi, anche se devo ammettere che per un lungo periodo sono stato bene insieme a loro. Speravo comunque che non finisse così, ma quel sogno mi si era inchiodato nella mente.
Ero nella mansarda di Nicolette, una delle sue numerose stanze private; spesso avevo sentito parlare del lusso della sua mansarda. Tutto era arredato sontuosamente, vasi orientali, quadri d'autore, tappeti antichi. E Nicolette era lì, nuda nel letto accanto a me, immersa in coperte di seta. Lei mi guardava, ed io con le palme delle mani stringevo delicatamente il suo seno perfetto. Ad un certo punto mi ha detto, è da tanto tempo che ti voglio Marcel, sei l'uomo che ho sempre desiderato. Prendimi, ti prego.
Le ho baciato il collo profumato, i capezzoli rigidi, le ho accarezzato i capelli color oro e alla fine sono entrato dentro di lei, con dolcezza. Ma subito dopo ho iniziato ad amarla con tutto il vigore che possedevo, e lei mi chiamava ad alta voce, implorandomi di continuare, di non fermarmi. La sua voce suadente che mi pregava, rimbalzava sui muri affrescati, sugli oggetti di ingente valore; la sua voce che mi adorava. Il suo corpo era mio; il corpo di una donna tanto desiderata dagli altri, da tutti i miei amici, da chiunque.
Entrambi esausti ci siamo poi coricati l'uno accanto all'altro. Ma lei, non ancora soddisfatta, si è inginocchiata sul letto e con le mani ha iniziato a toccare il mio sesso, a parlargli. Sei terribile, mi hai divorata, consumata, ora però mi ribellerò ingoiandoti. Estasiato dalle sue labbra e dalla sua lingua, ho pensato a Mireille, alla mia ragazza; pensavo a lei ridendo forte di quella disgraziata. No, non l'avrei più rivista, ora c'era Nicolette nella mia vita.
E' stata poi la voce di mia madre a farmi aprire gli occhi. Mi ha svegliato spalancando le finestre con gesti materiali. Anche se è domenica -mi parlava chiudendo la porta per andarsene- potevi alzarti un po' prima. E' quasi mezzogiorno.

Ero sveglio; davanti a me poster di cantanti che da tempo dovevo togliere, il comodino con sopra alcune riviste spiegazzate, il mio vecchio armadio, la luce opaca e lattiginoso del cielo; e poi mia madre. la sua perenne espressione infelice, il suo inseparabile grembiule per le faccende domestiche. Le solite cose; come il solito odore che regna nella casa, un misto tra cibo e prodotti per l'igiene.
Ma il mio pensiero è tornato agli affreschi, alle coperte di seta, ai quadri di maestri antichi, ai vasi e ai tappeti rari; al sogno, a Nicolette soprattutto, alle sue mani, alla sua bocca, al suo corpo.
Dopo pranzo, fra gli sguardi seri di mia madre e l'apatia di mio padre, per cercare di non pensare più a Nicoletta mi sono messo a giocate a carte con mia sorella Sandrine, ma niente da fare, la mia mente tornava continuamente al sogno e alla mia situazione senza via d'uscita. Mi sentivo patetico, triste.
In quel momento e' squillato il telefono, era Mireille, dovevamo incontrarci nel pomeriggio.
Mireille viveva come me, con le stesse alienazioni, con le stesse paure per il futuro. Non era stato il destino a farci conoscere, ma il nostro quartiere, le nostre case superaffollate, la nostra vita precaria, il nostro avvenire già scritto.
Appena finita la scuola avrei iniziato a lavorare. La stessa cosa che aveva fatto Mireille. Non avevo scelta. Oltre a costare troppo per le tasche di mio padre, l'università era una realtà che non mi apparteneva. II sogno di Nicoletta ora finito in tutti i sensi, non mi restava che uscire con Mireille. Sarei andato a casa sua, scala b, interno 7.
I miei la domenica stanno fuori tutto il giorno. Possiamo fare ciò che vogliamo.
Anche quel pomeriggio al telefono la stessa frase. E come al solito avremmo fatto l'amore, ma questa volta avrei chiuso gli occhi sognando Nicolette. Appena riaperti però avrei rivisto le guance arrossate di Mireille, i suoi glutei pallidi o grassi, li suo sesso folto come una foresta, il suo seno da donna che deve allattare. Il suo bagno dalle orrende piastrelle color del mare, come diceva sempre lei con un pizzico di superbia.
No, non ce la facevo più. al diavolo lei e tutto il resto. Ho trovato una scusa. Non mi andava più Mireille, non mi andava più di giocare a carte con quella sciocca di mia sorella, non mi andava più nulla.

Il telefono e' squillato di nuovo. Era Jean che mi invitava a una festa a casa di Francoise, un'amica di Pierre. Ci sarebbe stata anche Nicolette. Saremmo andati in una casa meravigliosa, con oggetti meravigliosi, con cibo meraviglioso, con gente meravigliosa.
Parlavo con Jean e pensavo. Se vado peggioro la cose. Mi sentirò di nuovo tagliato fuori. Forse é meglio evitare. Magari appena mi vedono arrivare con la macchina di mio padre si divertono a prendermi in giro e farmi la festa. Mi sono convinto che forse stavo esagerando e ho accettato l'invito. Sono andato in bagno a mettermi in ordine e poi ho chiesto le chiavi della macchina a mio padre, il quale, senza togliere gli occhi dal giornale, mi ha detto che erano sul tavolino d'entrata.
Scendendo le scale ho pensato a Mireille al suo corpo; all'odore del suo corpo; a lei che spendeva la sua vita tra il lavoro in un anonimo ufficio di periferia e le scopate con me la domenica pomeriggio.
Sono entrato in macchina e ho messo in moto sorridendo. Fra poco avrei rivisto Nicolette.
All'appuntamento con Jean e gli altri, qualcuno ha fatte scherzi idioti, pero' nessuno mi ha rotto le scatole per la macchina di mio padre. Forse perché ne é mancato il tempo. Infatti essendo in ritardo siamo partiti in fretta per la festa di Francois. Pierre era con Marc, uno dei nostri, Jean era in macchina con me.
Non facendo altro che dire idiozie, siamo usciti dal la strada provinciale per entrare in una strada privata poco distante, che ci ha portati di fronte ad un imponente cancello automatico. Dopo aver lo varcato, siamo arrivati alla villa attraversando un parco molto grande con alberi altissimi.
Scesi dalla macchina, Pierre e Marc hanno fatto i cretini prendendosi a calci nel sedere. Stavano cominciando anche con me e Jean, ma hanno smesso immediatamente quando si sono accorti che da una vetrata della casa qualcuno li stava osservando.
Appena dentro Jean si e' messo a bere, e dopo pochi minuti era già impossibile dialogare con lui. Come aprivo bocca ai metteva a ridere.

Perso Jean mi sentivo come uno che si era smarrito. Tutti erano in qualche modo accoppiati, e Pierre e Marc si trovavano in mezzo a un mucchio di gente. Mi riusciva soltanto di scambiare saltuariamente due parole con qualcuno che mi passavo accanto. Così, facendomi largo tra gruppi di persone, sono sceso nella tavernetta da dove veniva la musica e mi sono messo a bere anch'io. Sentivo la musica ad alto volume, e guardando gli altri ballare bevevo tutto quello che mi capitava.
D'un tratto ho visto Nicoletta- Era bellissima. Ballava stretta con un ragazzo che non conoscevo.
Mi sono seduto in disparte, in un angolo un po' buio, e con lo sguardo fisso su di lei ho ripensato al sogno. L'alcol mi stava facendo un effetto coi fiocchi e ho immaginato Nicoletta come una ragazza che potevo prendere o lasciare a mio piacimento,
Ma ecco che di colpo la musica é cessata, e nello stesso istante, accompagnata da saluti cerimoniosi, ha sceso le scale una signora molto elegante, la padrona di casa, la madre di Francoise, una donna che oltre a continuare imperterrita nella chirurgia estetica, avrebbe anche implorato miracoli pur di dimostrare di essere ancora giovane. Biondissima e curatissima in ogni dettaglio, sorrideva a tutti spalancando una bocca enorme con denti bianchissimi e labbra rossissime. Da come era in ghingheri aveva fatto almeno tre ore di toilette. La musica si era fermata per lei. Era scesa per salutare tutti i ragazzi presenti alla festa di compleanno della figlia; nessuno mi aveva detto che era una festa di compleanno. Ho pensato a quel disgraziato di Jean, che appena entrati aveva tirato fuori un piccolo pacchetto da una tasca, senz'altro un regalo. Avrebbe potuto dirmi che quella Francoise compiva gli anni, forse avrei portato qualcosa anch'io. Ma eravamo in tanti, non ero notato per niente, e inoltre, a parte una breve stretta di mano all'arrivo, passandomi di fronte poco più tardi quella Francoise non mi aveva nemmeno guardato in faccia.
Grazie all'alcol che mi dava sempre più sicurezza, ho deciso che dovevo infischiarmi di lei, di quel catafalco di sua madre, del suo compleanno e di tutti quegli stronzi che aveva invitato.
Finalmente la musica è ripresa e mentre la luccicante signora bionda se ne andava fra cori di ammirazione, ho ripensato alla figura di mia madre con il suo inseparabile grembiule.
Sentendomi triste, mi sono lasciato andare su un divano. Nel frattempo è spuntato Pierre che si è seduto di fianco a me.

Entrambi stravaccati su quel divano con un bicchiere di whisky tra le mani, osservavamo Nicolette ballare animatamente.
L'alcol ora riprendeva a farmi sentire forte, veramente forte. Ed è stato a questo punto che ho iniziato a raccontare a Pierre la mia storia segreta d'amore con Nicolette, riportando alla realtà il sogno della notte prima.
Rosso in viso, con le labbra sporgenti e i denti stretti, Pierre mi ascoltava incredulo. Ero circa alla metà del racconto quando mi ha chiesto di andare con lui nel parco a prendere un po' d'aria. Nell'uscire siamo passati vicini a Nicolette, e ho notato che Pierre l'ha guardata con un desiderio animalesco.
Con il fresco della sera era arrivato anche il buio, e mentre l'aria frizzante e l'oscurità del parco alleggerivano il peso della mia ubriachezza, passeggiando nel parco ho finito di svelare a Pierre il mio straordinario rapporto con Nicolette.
Lasciando Pierre ancora fuori di testa per la mia storia su Nicolette, sono venuto via dimenticando di salutare tutti, festeggiata compresa. Ero talmente ubriaco che avevo dimenticato anche Jean.

A casa sono rimasto seduto sul letto, poi mi sono messo a camminare per la stanza aspettando di passare il culmine della sbornia. Mi sentivo inebetito, anche se capivo che il cervello riprendeva lentamente lucidità.
Barcollando sono andato in cucina, e nel silenzio della notte ho trangugiato nervosamente il latte pensando alla festa, a Pierre, e a tutte le calunnie che avevo detto su Nicolette.
Se sotto l'effetto dell'alcol quella storia mi aveva fatto sentire pieno d'orgoglio, adesso provavo per me una gran pena.
Perché non sono andato da Mireille? continuavo a chiedermi, perché? dovevo evitare quella patetica sceneggiata su Nicolette.
Un senso di disgusto della vita mi prendeva l'anima. Avvertivo già quello che doveva capitarmi solo poche settimane più tardi. Le parole di Pierre.
Pensavi di farla franca? Non si inventano storie del genere sputtanando una come Nicolette.
Solo qualche settimana più tardi. Una telefonata la domenica appena dopo pranzo, come quel pomeriggio della festa di Francoise.
Sono Pierre, ti aspetto oggi a casa mia, si gioca a carte. Ci siamo tutti, non puoi mancare.
Figlio di puttana. Era un tranello per rovinarmi di botte. E per fortuna c'erano solo Jean e Marc. Se fossi solo arrivato qualche minuto più tardi, oltre alle botte, mi avrebbe anche umiliato di fronte a tutti.
Pierre era seduto su un tavolo con accanto una bottiglia di Gin, gli altri due stavano su un divano di fianco a lui.
Mi ha detto, forza! racconta ancora una volta la storia di Nicolette; quella che mi hai snocciolato da Francoise. Avanti! voglio che sentano anche gli altri che razza di balordo sei. D'accordo, un cretino come te non poteva certo immaginare che Nicolette diventasse la mia ragazza, anzi, la mia fidanzata. Non ne sapevi nulla vero? appena le ho detto quanto mi hai riportato su di lei, voleva venire a casa tua con suo padre per parlare con i tuoi genitori. Ma l'ho fermata, le ho detto che sarebbe stato tempo perso. Considerato l'enorme acume del figlio, c'è da supporre che la pressoché nullità di intelligenza sia di comune pertinenza a tutta la stessa famiglia. Ehi, brutto pezzente che non sei altro, ti rendi conto di cosa hai fatto? te ne vai tranquillamente in giro a raccontare che hai fatto un'orgia con Nicolette, mentre non vi siete mai nemmeno rivolti la parola. Sei veramente un ignobile gran pezzo di merda.
Pierre mi bastonava con le parole e gli altri due porci ridevano sguaiatamente.
Toccato il limite della sopportazione, ho detto, non ricordo assolutamente di averti parlato di Nicolette ero completamente ubriaco. Non è leale giudicare le parole di uno che ha bevuto troppo.
Leale? fai pure il furbo. Proprio tu tiri in ballo la lealtà. Che ne sai tu di lealtà? ricordati che la storia l'hai raccontata a me, non a un altro. Forse avevi bevuto un po', ma parlavi come una persona normale. Connettevi perfettamente. Infatti hai guidato sino a casa senza ammazzare nessuno. Oltre che un pezzo di merda sei anche una testa di cazzo di un bugiardo.
Ora basta sul serio. Lasciami in pace. Sono uno da lasciare in pace.
No caro, non ti lascio in pace. Quelli da lasciare in pace sono ben diversi, tu sei soltanto un misero omuncolo di merda. E sentimi bene. Ho assicurato a Nicolette che non c'è bisogno di scomodare suo padre per uno del tuo calibro...
Con uno scatto ho aggredito Pierre prendendolo al collo, ma quasi nello stesso istante Marc mi ha tirato un calcio in fondo alla schiena. Dal dolore ha lasciato la presa di Pierre, abbandonandomi leggermente sul tavolo, e lui, appena libero, mi ha tirato un pugno in piena faccia, prendendomi però solo di striscio.
Fra pugni e calci è intervenuto Jean che mettendosi in mezzo ha gridato a tutti di piantarla. Ha cercato di dividerci urlando ripetutamente la stessa frase. Razza di bastardi, siete impazziti? finitela!
Sono fuggito. Scendevo le scale e dall'alto del pianerottolo Pierre gridava insulti verso di me.
Con il cuore impazzito, verso la macchina ho incontrato Bernard e Armand, altri della compagnia. Che ti succede? mi ha chiesto Bernard, non resti a giocare a carte? vai già via?
Ho messo in moto in tutta fretta senza rispondere.

Quella stessa notte sono rimasto a lungo nella mia stanza a pensare; a continuare a pensare finché la testa ha iniziato a farmi molto male; un male dentro al cervello che pulsava come una ferita aperta.
Era molto tardi ma dovevo uscire, non ce la facevo più.
Mi sono vestito al buio mettendomi addosso le prime cose che ho trovato, e dopo aver aperto piano la porta sono scivolato giù per le scale.
Camminando provavo un dolore tagliente all schiena: quel figlio di un cane di Marc.
La faccia in confronto alla schiena non era nulla. La sentivo solo un poco gonfia da una parte. Ero stato fortunato, con quel pugno Pierre avrebbe potuto spaccarmi la bocca.
Ho continuato a camminarci, a camminare, maledicendo Pierre, Nicoletta, Marc, Jean, si', anche lui, tutti quanti. Se un episodio come quello di Nicolette fosse accaduto un anno prima ci saremmo messi tutti a ridere. Ora no; ora dovevo pagare un prezzo alto solo perché era ormai diventata troppo evidente la mia diversa estrazione: in poche parole era troppo diverso da loro. Gia da tempo mi ero accorto che
oltre i vari mutamenti materiali, allo stesso tempo era cresciuta in loro una totale trasformazione psicologica nei miei confronti, che il aveva portati a considerarmi a tutti gli effetti un essere inferiore.
Non avendo lo loro possibilità, li faceva sentire in diritto di usarmi violenza nella parole e nei fatti, trattandomi come un pagliaccio.
Nicoletta era stata solo un pretesto quanto mai opportuno per togliermi di mezzo una volta per tutte. Se non si fosse creata quella occasione, presto Pierre no avrebbe inventata un'altra.
E a forza di continuare a pensare, camminando sul marciapiedi deserti rischiarati dalla luce gialla del lampioni, sono arrivato al condominio dove vive Mireille. Mi sono seduto su un muretto e dopo aver acceso una sigaretta. fumavo guardando te finestre del suo appartamento.
Forse non si e' ancora addormentata, ho pensato: forse può vedermi. No, impossibile, e tutto buio da quella parte, E se suonassi? troppo tardi, farei una grossa cazzata, suo padre chissà cosa mi direbbe.
La sigaretta ormai era finita, e aspirando con forza l'ultimo tabacco, ho pensato a Mireille, ai suoi glutei, al suo sesso e al suo seno pesante, al suo bagno con le piastrelle color del mare, al mio mondo.

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